mercoledì 12 dicembre 2012

L'abbraccio

Ho percepito la tua presenza e il tuo odore che ristagnava sui miei vestiti. Attraverso tutto quel freddo e quella pioggia, camminavo a passo svelto evitando le pozze d'acqua scura. Tu mi seguivi senza dire una parola, senza fretta, stretto nel tuo cappotto notturno. Come un'ombra con le ali, come una mano guantata che ti afferra la gola. Come la distanza che in un attimo abbiamo dimezzato. Come le mie mani che non sapevano stare ferme. E poi la pioggia ci ha tolto lo spazio e ha avvicinato il respiro. In uno sguardo perso nel buio, attraverso lo spesso strato di lana metallica. E poi il salto nel vuoto, le pause lunghissime e gli occhi di una pantera nella penombra di una gabbia. In una notte sola, in un alone soffuso e indistinto, in un tempo limitato e scattante. Nei tuoi sguardi e nel tuo tocco delicato. Abbiamo liberato la pantera. Nessuna paura in tutte le nostre corse notturne e gelide. I pixel si riflettevano sul volto nero, ma i suoi artigli non graffiavano e le sue fauci non erano terrificanti, i suoi gemiti dolci come il miele. Dopo 100 anni di prigionia, dopo la rabbia e il dolore, dopo le distanze, dopo tutte le lacrime, era lì a fissarti dallo schermo sigillato. Quando hai smesso di temerla? Quando hai tentato di toccarla? Il corpo flessuoso e snello, lo sguardo fiero e triste, la pelle... La pelle che per un attimo ha smesso di ricordare. Il profumo è stato sostituito e non c'era più la pioggia nè il freddo. C'era una nuvola e i piccoli rumori della città che sonnecchiava placidamente. Un fascio di luce ambrata. Le scarpe con il tacco rovesciate di lato sul pavimento soffice. Una giacca che sapeva di rossetto antico. Calze bianche e odore di fumo e il nostro abbraccio stanco. E la pantera ha vinto di nuovo la sua battaglia interiore. In tutto quel nero, in quella pelle colorata, in quelle ciocche sparse e intricate come rovi. In una mattina livida ho tolto il rossetto e gli orecchini luccicanti. In quella mattina dimentica di tutto, ho ripassato la matita sbiadita e ho ridipinto i miei occhi. E il mio cuore bruciava... Le mie mani tremavano. Ancora odore di miele. Spire di fumo azzurro volavano lievi sopra le nostre teste abbandonate. Noi, ancorati a lenzuola, a parole non dette a sguardi... E in quello specchio ho visto di nuovo pioggia e attesa. Ho sentito il freddo metallo richiamare la mia rabbia. Ancora una volta attendevo la fine. Una fine che non sarebbe arrivata per mano tua. Ho rimesso gli artigli e ho premuto il grilletto. Ho sparato senza che alcun pensiero attraversasse la mia mente. Senza pietà. Ancora un colpo e un altro ancora...

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