domenica 20 ottobre 2013

Con il favore della notte

Eravamo lì, in silenzio e fermi come l'ultima volta, come tutte le altre volte. Mi fissavi attraverso quel velo di lacrime e io non sapevo dire nulla. Disorientati e sconfitti, come due stupidi guerrieri che combattono contro i fantasmi. Mi ero ripromessa di dire qualcosa, se fosse accaduto di nuovo, mi ero preparata delle parole, avevo fatto le prove allo specchio, cambiando espressione per essere più convincente. Era accaduto ancora e io ancora una volta non sapevo dire nulla. Volevo toccarti, ma temevo le tue reazioni con terrore. La mia paura era sempre acquattata lì sul fondale del mio stomaco, restava muta per 4 giorni la settimana, poi ti vedevo e le acque iniziavano ad agitarsi. Ogni volta non sapevo se sarebbe stata una tempesta o una fine pioggerellina estiva. Scatenavi tempeste atroci senza volerlo. Sapevo che non controllavi questi strani elementi, ma era sempre un'incognita per me, un salto nel vuoto e non sapevo come difendermi. Il luogo era lo stesso di sempre, il taglio di luce che disegnava uno strano triangolo irregolare e il fumo di troppe sigarette. Piangevi, in silenzio, di un altro amore? Un amore perduto e lontano. Un pugno fortissimo dritto al centro del mio diaframma. Una raffica violenta in pieno viso. Fitte acutissime alle tempie, che non mi facevano ragionare, che azzeravano i miei pensieri. Era il mio giorno del giudizio. Tutte le volte. La mia piccola, personale apocalisse. Che strana creatura. Ti avevo cercato in un deserto senza tempo, fra le dune di sabbia, sotto un cielo rovente. Ti avevo trovato e ora restavi in quello spazio ristretto, in silenzio, come le altre volte. Mi fissavi e io non sapevo come muovermi. Perdevo l'equilibrio. Il tempo avrebbe calmato la tempesta? Il tempo mi avrebbe dato tutte quelle risposte? Eri stremato, tremante e inquieto. I capelli ti ricadevano sugli occhi e non facevi altro che fissarmi attraverso quella oscura cortina. Provai a toccare le tue mani, con il favore della notte forse non te ne saresti neanche accorto. Non avresti percepito nulla. Non avresti detto nulla. Eri vittima della tua stessa tempesta. Allungai una mano verso di te, continuavi a tenere gli occhi fissi nei miei. Trovai le tue mani fredde, un brivido attraversò tutto il mio corpo e mi fermai. Sorridevi. Uno strano sorriso. Una creatura strana davvero. Strana come le notti che passavamo insieme, quelle lunghe notti fatte di pioggia e silenzi. La notte continuava a concedere favori, fermava il tempo, ci isolava da tutti, ci faceva sentire l'odore del mare. Una notte sempre troppo generosa. I profumi cambiavano e i rumori si attenuavano, ogni cosa veniva sommersa da una strana sonnolenza simile ad un torpore da sortilegio. Cristallizzava tutti i nostri incontri in un tempo indefinito e lento. E tutte le volte il cuore prende il sopravvento. Che ci succede ogni volta? Tu lo sai? Ti prego dimmelo, io ho bisogno del tuo aiuto. Da sola non sono così forte. Da sola ripiombo nel buio, nel gorgo mortifero che mi toglie il respiro. Parlami, prova. Siamo ancora in quella stanza, in silenzio e distanti. Non voglio più combattere, voglio solo sentire la tua voce. Ho percepito i battiti altalenanti del tuo cuore in tumulto. Il mostro muove la coda, si agita e sospira annoiato e triste. Quel mostro che non ti da pace. Quel mostro che ogni volta cancella il tuo sorriso. Non so come affrontarlo. E' un'idra minacciosa e letale. Non so come abbracciarti senza farti scappare. Vorrei stringerti ancora una volta, insinuarmi tra la spalla e il collo, ma non so come fare... Non ho le giuste armi. Ho solo il favore di questa lunga, lunghissima notte.

mercoledì 5 giugno 2013

Romantica penombra

Ed erano i tuoi occhi quelli di un angelo che non conosce riposo. Curioso e tremante ti sei avvicinato in punta di piedi, silenzioso, a tratti impaurito. Ed era il tuo cuore fremente di desiderio e stupore. Dove mi condurrai uomo delle stelle? Non eri affatto un diavolo. Temevo il tuo incedere lento, ma sognavo tutte le notti i tuoi occhi tristi. Come eri silenzioso in tutto quel buio che ci agguantava le caviglie. Neanche un barlume lontanissimo. Nè una lampada, nè una candela. Come il tuo respiro mi cantava una nenia dolcissima, sottovoce, senza alcuna distorsione. Come il tuo battito non accelerava già più, ma cadenzato si adeguava al mio respiro a volte un pò agitato. E mi abbracciavi nel sonno come se stessi per volare via e non avrei voluto mai lasciare le tue mani. E mi stringevi per farmi dimenticare la paura. E mi fissavi come se mi vedessi per la prima volta, attraverso me, attraverso le spalle e il petto. Ancora più silenzioso ti lasciavi avvolgere dal mio sonno inquieto. Correvo sempre in quei sogni senza pace. Non riuscivo a fermarmi. Il dolore mi trascinava sempre più giù. Sentivo freddo e tutto era desolazione e malinconia. Le labbra tremavano violacee e le mani intirizzite avevano perso il loro dono. Ma tu vegliavi sempre, prima dall'alto di ogni cosa. Sopra i tetti più alti di questa città. Poi sempre più vicino, finchè non hai resistito e mi hai portata nel tuo abbraccio ardente. Ho smesso di sentire tutto quel gelo attaccare le mie membra come un branco di lupi. E ho smesso di correre. Perchè tu eri lì, con i tuoi silenzi e i tuoi bellissimi occhi. Quegli occhi che non posso dimenticare. Quegli occhi che mi permetti di baciare... No, non eri un demone. Sei l'uomo delle stelle. Ho sentito tutto il tuo dolore stringermi il petto come una morsa d'acciaio. Ho sentito le tue mani tremare. Ma ora sei qui, senza le tue ali, senza il tuo dolore. Con me. Ora. In un solo lunghissimo fremito...

lunedì 29 aprile 2013

Almost Blue

"Sei la strada tortuosa. Pericolosa. Quella che sale dritta in montagna. Piena di curve e senza alcuna protezione".
Ti respiro e ti inspiro come il fumo della mia sigaretta. Grigie spire di fumo che salgono verso l'alto. Nella loro risalita diventano bianche. Aloni bluastri, come i segni con cui vesto i miei occhi al buio. Cerchi violacei, concentrici e cupi. Ti respiro ancora. Sei il fumo. Ti sento fin dentro i polmoni come spasmi intermittenti e irregolari. Nelle narici, nella bocca. Invadi il mio spazio vitale, ne impregni le pareti come una vecchia carta da parati. Ti inspiro e risali la via del mio respiro fin dentro al mio cervello. Per non abbandonarmi più. Acre e pastoso, t'insinui lentamente dentro la mia gola. Ti trattengo e poi ti respingo. Ti riprendo e vorrei sfuggirti tutte le volte. Sei la mia metamorfosi. Il cambiamento che mi annulla. Senza nessuna regola. E continuo a fumare. E non mi manca l'aria di fronte al mare. Non mi manca l'odore dei fiori di campo. Un'altra boccata del mio grigio preferito. E sento la tua discesa nelle mie braccia. Nelle vene. Negli occhi. Ancora un'altra. E sento la tua densità graffiarmi la gola. E sento che attacchi i miei organi come un'idra dai tentacoli infernali. Io non farò alcuna resistenza. Non voglio combattere. Io cederò sotto il peso del tuo sguardo e ti lascerò perforare il mio cuore. Aspetterò che tu faccia a pezzi tutto. E resterò a guardare brandelli di me, come se non fossero mai stati miei in fondo. Ti porto alla bocca e ti respiro come se fossi una boccata d'aria. Ti distruggo dentro i miei polmoni in mille atomi di fumo nero e denso. Mi soffermo a guardare le volute che si attorcigliano alle mie dita stanche e rassegnate. Appoggio il mento sul palmo della mano e resto ad osservarti. Ora non sei più fumo, ma vedo i tuoi occhi attraverso la cortina densa che ci avvolge e ci separa dal resto del mondo. I tuoi occhi obliqui riescono a bloccare ogni volta il flusso dei miei pensieri. Eppure sei lì, immobile e silenzioso. Sei lì e fissi le mie mani che non sanno star ferme. Con lo sguardo fisso su di me, porti alla bocca la tua sottile sigaretta. Con le dita dell'altra mano continui a sfiorarti la tempia, lentamente come se ti dolesse. Come se un brutto pensiero non riuscisse a darti tregua, mai. E mi fissi con il tuo sguardo sghembo. Il sorriso che appare quando non vuoi essere fumo. Quando smetti di combattere i tuoi demoni. E in quel momento vorrei ricordarmi delle mie stupide certezze. E vorrei che smettessi di scrutarmi. Temo tu veda troppo oltre. E vorrei non aver ballato con te, attraverso tutto quel fumo. Ad occhi chiusi, lentamente, al suono di un fiato tormentato. A piccoli passi, senza mai perdere il nostro centro. A tratti un equilibrio incerto. A tratti un baricentro che non sapevamo catturare. Senza conoscere i passi. Incoscienti come i bambini. Diritti e abbracciati, con i piedi radicati nel pavimento di sabbia. Il mio cappello calcato sui tuoi occhi. Io abbandonata sulla tua spalla. E il fumo che ci agguantava le membra stanche. Ti respiro... Un'altra sigaretta!

lunedì 15 aprile 2013

Claire de lune

Uno strano chiarore entrava in quella stanza. Grande e vuota, come lo era stato il mio cuore. Un fascio di luce gialla timidamente attraversava la soglia e s'insinuava sul pavimento. Un triangolo di luce si disegnava nitido e obliquo sul legno dipinto. Dalle finestre non entrava nulla se non un vago chiarore e voci in lontananza. Una musica a tratti. Leggera e dolce. Un pianoforte? Ascoltavamo in silenzio, rapiti dalle note scandite nella notte. Nessuna parola. Neanche il più piccolo respiro. In silenzio continuavo ad insinuare le mie dita fra i tuoi capelli morbidi e scuri. Ma il tempo è sempre troppo veloce per noi che con assenza di gravità passeggiamo sulla luna. Ogni volta un allunaggio perfetto. Misurato. Cadenzato. Come una danza che solo noi possiamo comprendere. Come tutte le volte che fissi i tuoi occhi nei miei e vorrei scomparire. Come tutte le volte che sfiori il mio viso. Come tutte le volte che mi abbracci e sento il pavimento spostarsi e perdo l'equilibrio. E sento di non avere più gravità. Come il chiarore che piano invadeva la nostra stanza. Era la luna che ci fissava curiosa. Illuminava le tue mani. Eri nel triangolo di luce per metà, l'altra metà era nascosta nell'ombra e curiosa cercavo di carpire ogni tua espressione. Era un sorriso? Forse un sorriso storto. Avrei voluto strappare le lancette all'orologio che sghignazzava beffardo sopra le nostre teste. Avrei voluto così tante cose. Avrei voluto dare forma ai miei pensieri. Avrei voluto per un attimo non odiarmi. Avrei voluto non odiare il mio corpo. In quell'istante allora tu poggiavi le mani sul mio fianco ancora dolorante e smettevo di odiarlo. Cessava l'odio e la rabbia. Lo ringraziavo perchè la mia pelle aveva già memoria di te. E ti fissavo. Rubavo un pò di te ogni volta che potevo. M'impossessavo dei tuoi strani occhi scuri. Occhi che guardavano sempre al di là di me. M'impadronivo delle tue mani bianche come la neve. Avrei voluto non chiudere mai gli occhi. Avrei voluto perdere il sonno. Così da poter portare ancora un altro pezzo di te con me. Quante cose ancora avrei voluto... E di nuovo il pianoforte invadeva tutto e l'aria sopra di noi diventava leggera e il silenzio era una sciarpa di seta che ci riscaldava. Eri in tutte le cose. Era nei miei pensieri e tra le mie braccia. E mi piaceva sentire il tuo respiro calmo e regolare. Avevi abbandonato la finta luce ed eri sulla mia pelle. Nel chiarore della notte che ci sfuggiva dalle mani. Liquida e veloce. Non avevamo presa su tutto quel buio e ci affidavamo agli altri sensi. E sentivo quel profumo ora così familiare. E sentivo il tuo tocco così delicato. E i tuoi occhi attraversavano lo spazio strettissimo che ci divideva. Quegli occhi che avevano sempre un bagliore caldo a dispetto dei tuoi pensieri spigolosi. A dispetto del tuo dolore così articolato. Come avrei potuto chiudere gli occhi in quel momento? Come avrei potuto privarmi delle tue parole non dette. Ma il tempo decideva sempre per noi. E già non eravamo più in quella stanza, ma in due differenti microcosmi. Allora e solo allora potevo chiudere gli occhi e riempire le mie notti delle visioni che avevo rubato. Il pianoforte mi riportava in quella stanza come se fossi fatta d'aria. Inconsistente e senza forma ero di nuovo lì ad osservarci. Ma questa volta il rettangolo di luce non c'era più. Avevo spento tutte le luci, lasciando solo la luna ad illuminarci e ad illuderci. Eravamo ancora lì, fra i tasti bianchi e neri, inondati di bianca luce notturna. E le tue mani erano ancora una volta sulla mia pelle, tra i miei capelli scomposti. Riuscivo a sentirti. Potevo fare ogni cosa, senza sforzo nè dolore. Cercavo di non aprire gli occhi, per non far svanire tutte quelle visioni a me care. E mi lasciavo cullare dal tuo calore, anche se non eri più lì ed io ero ora un fantasma inquieto in cerca di pace. E restavo lì fino al mattino. Quando ormai il chiarore del giorno annunciava la mia disfatta. Quando la luna aveva ritirato i suoi raggi perlati. Il pianoforte allora restava muto e io stanca chiudevo gli occhi, abbracciando le mie piccole visioni. La notte era finita e il giorno annunciava un'altra attesa. L'attesa di te. L'attesa del tuo sguardo e dei tuoi sorrisi. L'attesa di un'altra luna, che presto mi avrebbe riportata in quella stanza, stavolta nella mia forma mortale.

martedì 2 aprile 2013

In your room

"Ancora quei maledetti occhi che tanto riesco ad amare. Sono la mia gioia. Sono il mio tormento. Riesco a disegnarli tutte le notti sotto la pesante coltre di nuvole rabbiose... E poi svaniscono, come un crudele inganno... E sono di nuovo cieca!" Il pavimento lucido, coperto di vernice rossa come il sangue, aveva tante incrinature, scheggiature piccole e profonde. E come le cicatrici, lasciavano scorgere il fondo bianco ed esangue. Quel rosso accecante copriva ogni cosa, fino al confine massimo degli specchi. Impolverati e stanchi riflettevano immagini sbiadite e contornate di muffa vecchia e verdastra. Gli antichi affreschi, rovinati dal tempo, richiamavano ad una ricchezza che non apparteneva a noi. Scoloriti e confusi. I disegni avevano perso i tratti e i fiori delle cornici erano ormai appassiti. Fiori secchi che rammentavano alla mia mente valzer e gonne voluminose. I vecchi diplomatici erano stati sostituiti dalle calzamaglie rosa e dalla cipria bianca delle algide ballerine. Tutte uguali e simili a manichini senza trucco e senz'anima. Sempre in movimento, trasportate da antiche melodie che seguivano senza più cuore e senza ardore. In più punti il legno consunto confinava con la pietra grigia e fredda. Liscia e scambiata dalle intemperie. Inerme ed esposta. Unico baluardo di un tempo remoto. E i miei piedi nudi, poggiavano esattamente in quel punto di confine. Sulla soglia di un principio. Un principio che conduceva con sè anche una fine. Tragica, fatale, dolorosa, penosa. Piedi che non ricordavano più alcun tipo di equilibrio. Piedi che adesso conoscevano solo l'immobilità e la pioggia. In un limbo oscuro, restavo lì, in attesa, con il cuore turbato e l'animo agitato. Una forza esterna controllava il mio corpo, privandomi della possibilità di gioire. Fermando i miei piedi sempre in quella stessa, identica posizione. Non riuscivo ad impormi alcun movimento solo in nome della passione. Quella stessa passione che mi costringeva all'inganno. Ingannavo costantemente il mio cuore e i miei sensi esaltati, che disorientati non riuscivano a seguire i dettami di una mente bugiarda. Tutto quel maledetto rosso mi faceva pensare a quella malsana passione che aveva il tuo sguardo e i tuoi baci. Invoco sempre la ragione del mio tormento. La invoco e ne sono ostaggio al tempo stesso. Il dubbio mi perseguita come una condanna. La paura fa cedere le mie ginocchia. E resto così. Costantemente immobile. Sempre ferma nel mio dolore. E sempre invoco il tuo amore immaginario. Ho immaginato ogni cosa. Tutto inventato dalla mia mente che non riesce a stare ferma come i miei piedi. La mia passione m'impedisce di muoverli, ma costringe i miei pensieri a fuggire da te. A raggiungerti. Ovunque tu sia. Sono condannata al buio. In quella tua stanza dimenticata. Le ballerine hanno ormai invaso tutto il rosso, lasciandomi sul confine di pietra. Relegata in quello strano limbo. Immobile e silenziosa, resto ancorata ad un amore che mi parla senza sosta. Parla una lingua che io non comprendo e il suo canto melodioso è quello di una sirena ingannatrice. Ma non voglio sfuggire a quel suono, non saprei come fare ed è un dolce tormento, troppo seducente per non prestare ascolto. Aspetterò la notte per abbandonare la nuda pietra e scivolare finalmente nel suo abbraccio.

domenica 31 marzo 2013

Musa senza volto

La mia musa. Il mio amore. La sua scrittura. I suoi silenzi. La causa involontaria della mia afflizione. Il mio timore. La pioggia senza il suo sorriso oh musa! Non appartieni a me e non appartieni neanche a te. Oh musa dagli occhi tristi. Muta. Silenziosa. Incomunicabile. Bellissima nel tuo mondo privo di colori. Sempre distante e sempre nei miei pensieri. Dipingi la mia mente con colori vividi e luminosi. Ma quando scompare il tuo sorriso il mio cuore perde qualche battito. E posso solo scrivere di te e delle tue lacrime. Oh musa dalla scura chioma. Quella chioma che ossessiona le mie notti. Le mie dita attratte come una calamita. Sono fili scoperti e sensibili. Docili. Sottili. Inanellati tra loro, come le spire di un serpente nero. A tratti sembra che respirino, quando tu con le dita li sposti e li intrecci tra loro. Oh mia musa dagli occhi profondi quante volte riuscirai a togliermi il respiro? Ti ho modellata con la creta della mia fantasia e sei vivida nella mia testa, come un bagliore infinito. Un bagliore che non termina mai. Ti ho dato mani e soffio vitale. Ti ho dato lo sguardo ardente e triste. Un corpo armonioso e una dolcezza depositata sul fondo del tuo sguardo. Sei bellissima e non reale nella mia quotidianità e le tue mani non riescono mai a sfiorare il mio viso, i tuoi baci sono così distanti da farmi dubitare dei miei sensi. Le tue carezze, il tuo respiro, le tue dita sottili, solo di notte, nel buio dei miei pensieri diventano veri. Queste cose sono ed erano nella mia mente. Nell'oscurità che mi circonda. Nelle mie notti tetre e lunghissime. Notti fatte di respiri distanti. Oh mia dolce musa! Vorrei che tu riuscissi ad entrare anche nei miei giorni, sotto i raggi del sole, nel vento che trasporta la mia ossessione romantica. Mia musa, mio bene, mia creazione, non posso raggiungerti nel tuo eremo. E' una dimora troppo lontana per una mortale come me. I muri sono ardui da scalare e c'è la morte per chiunque invada il tuo giardino fiorito. Tu vivi separata dal mondo, in contemplazione solo di te stessa e percepisci la vicinanza umana come un'invasione. E io non posso invadere il tuo regno. E non posso abbracciarti perchè sei nascosta dal drappo rosso che ci divide costantemente. Ma quel filo invisibile che ci unisce mi riporta a te ogni volta che cerco di sfuggirti. Tu mi attrai e mi respingi, con la dolcezza delle tue mani di seta. Ma io non posso che scrivere di te, perchè sei il mio dolore, il mio amore, la mia musa.

sabato 23 marzo 2013

Abbraccio spezzato

Non riuscirò mai a raggiungere i tuoi pensieri. L'inabissarsi del tuo tormento. Costantemente in pena. Sempre silenzioso. Sempre troppo distante per me. E se il tuo sguardo riuscisse solo per un istante a parlarmi? Se per una piccola frazione riuscissi a comprenderti. Non voglio più il mare nei miei ricordi. Non voglio più tutto quell'azzurro che colpisce come una pugnalata in pieno petto. Non voglio più che i tuoi occhi... Non voglio più. E poi quell'abbraccio. Una stretta che sa di morte. La morte della mia carne, sempre troppo affamata, sempre fremente. Sempre arresa. E tremano le tue mani. Fredde e ferme sulle mie spalle. Per qualche attimo lunghissimo abbiamo danzato, sulle tue note, in tutto quell'azzurro, sulla riva incuriosita. Anche i gabbiani, curiosi, spiavano i nostri passi, piccoli e sempre incerti. Era come muoversi sulle punte dei piedi senza sentire alcun dolore. Ma il dolore è tornato e ha invaso ogni cosa. La spiaggia e il mare, i gabbiani, l'orizzonte. Ancora quel dolore che porti dietro le palpebre. Nella testa che non riesce a fermare le cose. Nelle mani che non trovano pace in nessun porto. Un dolore antico? Un dolore che sa di te e dei tuoi silenzi. Un dolore che versa lacrime copiose e dense. Ancora una volta hai infilato le mani nel mio petto e hai strappato il mio cuore. In un solo colpo. Con un'unica abilissima mossa. E sulle tue mani questa volta non c'era sangue, ma lacrime nere come la pece. Riuscirò a capire i tuoi silenzi un giorno? Potrò toccarti senza avere paura. Ho paura che il mio tocco ti faccia sparire, che ti porti via la vita, che ti faccia così male. Non posso guardare quella sofferenza. Mi distrugge ogni volta. Vorrei usare l'incanto per portarla via da te. Vorrei prenderla per me. Vorrei non vederla più sul fondo del tuo sguardo smarrito. Vorrei... Ma non so come. Non conosco il sortilegio per farlo. E vorrei solo morire ancora nel tuo abbraccio. Come la falena che si avvicina alla fiamma, mi avvicino dimenticando quel dolore, ma tutte le volte mi prende il viso, mi scuote, mi mozza il fiato, come l'acqua gelida del mare in pieno inverno. Mi avvicino e non m'importa di morire tutte le volte. Voglio morire nel tuo abbraccio di lacrime. Amore malsano. Amore di morte. Amore privo di amore. Amore zoppo, ma più bello del mare. Amore con le cicatrici. Amore senza battaglia. Stringimi nel tuo abbraccio sbagliato ancora una volta.

giovedì 21 marzo 2013

Il cuore avrebbe varcato la prigione delle costole per inseguirti...

E poi un giorno sei arrivato... Un giorno di pioggia. In una notte sconosciuta, fumosa, bagnata e rumorosa. Eravamo in uno spazio al di fuori del tempo, al di fuori di noi, sotto la pioggia a ripararci con le nostre parole di nulla. In quel piccolo spazio c'era solo odore di sigaretta e odore di te. Non lo conoscevo ancora, ma era lì e mi avvolgeva come una sciarpa calda. Sapevi del mio lungo inverno muto e gelido? Era dentro di me, dietro i miei occhi, non molto lontano dalle rose che tu avevi cristallizzato nel ghiaccio. Com'erano strani i tuoi occhi. Foschi, insistenti, tragici, sconfitti. Li fissavo rapita e ogni tanto vi scorgevo un guizzo di curiosità. Era come una piccola fiammella diafana, che a tratti faceva capolino tra le ciglia lunghe e nere. E la tua voce mi portava per strade familiari. Le vedevo nei tuoi occhi, attraversavo il tuo sguardo che fissava il vuoto e riuscivo a vedere quei sentieri. L'inverno lì non era sopraggiunto. Era tutto verde e rigoglioso, un giardino riparato da alti muri di pietra. Un giardino lussureggiante, variopinto, caldo. E fuori l'inverno. Il nostro. Ma per pochi attimi, la tua voce mi ci aveva condotta grazie ad un incanto. Per un attimo mi avevi tenuto la mano. Ma l'attimo svaniva sempre troppo presto. Abbassavi le palpebre per un tempo più lungo e ritornava l'inverno. Allora non era più la pioggia a circondarci, ma la neve che riusciva ad ovattare tutto. Come una piccola morte. Riaprivi gli occhi e io rivedevo la tua resa. Mi confondeva quello strano gioco di ombre che attraversavano le iridi. S'inseguivano di continuo, beffandosi della mia voglia di catturarle. Non c'era più l'idea della battaglia in te, eri come stremato... Le notti hanno ceduto il posto ai giorni. Le ore ai minuti. Non eravamo già più lì. Il nostro tempo si era deformato e ci stava danneggiando. Aveva roso i nostri ingranaggi stanchi. Ma i tuoi occhi restavano per me un mistero e mi toglievano il sonno. Le mie notti erano diventate lunghissime, troppo silenziose, troppo nemiche, perchè potessi catturarli. E al tuo cuore avevi messo ormai la sordina. E poi arrivò la tempesta violenta. Aspettavo una tempesta di fuoco, una lotta ed una conseguente quiete. Ma in una notte fonda, che non ha saputo contenere tutte le nostre lacrime, c'è stata una guerra troppo silenziosa. Il tuo cuore mi avrebbe davvero inseguita? Ora aspetto che arrivi da un momento all'altro, seduta qui, su questa riva desolata. Porto sempre il tuo incanto dietro ai miei occhi. E porto le cicatrici e le macerie e la solitudine di un cuore che non sa trovare pace. Un cuore inquieto quanto il tuo. L'ultima tempesta ha portato via i detriti da questa spiaggia e i flutti li hanno inghiottiti come perline. Ora riposano sul fondo devastato, invasi da alghe e conchiglie. La riva afflitta dai nostri passati silenzi. E i gabbiani si cibano di quelle strane parole, sussurrate eppure mai dette. E tu non sei qui. Che cosa ne hai fatto delle mie parole? Che cosa ne hai fatto delle mie braccia e dei miei occhi? Ora che non sanno più stare senza di te. Le hai portate in quella stanza, nel silenzio dei tuoi pensieri che urlano e graffiano le pareti della tua testa. Siamo ancora in quello spazio ristretto, sospesi tra i nostri abbracci e i nostri affanni. Ma ora che i tuoi occhi non sono qui, precipito costantemente in un abisso profondo dal quale non riesco a risalire... In quella notte tempestosa ho visto il mio cuore legato ad una roccia solitaria, battuta da venti gelidi e avversi. La tempesta ha spazzato via ogni cosa e ora quelle costole non imrigionano più il tuo cuore. Si è inabissato in me. E lo sento fremere e palpitare, pazzo furioso. Ingovernabile. Indomabile. Spossato. Non avresti dovuto liberarlo. In quella notte tempestosa ho scoperto che il mio amore aveva i tuoi occhi.

martedì 19 marzo 2013

Your hands are cold

Ero sul bordo delle cose, per paura di caderci dentro e non ritrovarmi più. Ero quasi sempre in bilico, senza equilibrio cercavo di camminare sul filo della tua assenza. La tua assenza era una presenza fortissima che non mi permetteva di muovere un passo dietro l'altro. Su quella corda tesa, mi ritrovavo a guardarti. Guardavo te e non la tua assenza. Le tue dita sottili che giocherellavano spesso con le ciocche disordinate dei tuoi capelli. Non tentavi neanche di riordinarli, ti limitavi a tirarle verso il basso, una per una, quasi volessi allungarle come elastici neri. Poi stanco di questo gioco solitario, passavi entrambe le mani sul viso, come a volerti togliere una scomoda maschera. E allora le dita s'infilavano morbide nei capelli, scomparendo completamente alla mia vista. Restavi così. Con il capo reclinato indietro, gli occhi chiusi e la gola bianca offerta e indifesa. Ancorata alla mia fune, ero lì e quella visione mi abbatteva completamente. E per un lunghissimo attimo dimenticavo la mia posizione di scarso equilibrio e affondavo nell'estasi di quella illusione. Stare sul bordo ed osservare era per me un porto sicuro, era la mia salvezza da occhi come i tuoi, era il mio paracadute da mani come le tue. Poi ho smesso di osservare soltanto e ho permesso alle tue mani di affondare nel mio petto. Ho permesso alle tue parole di creare echi infiniti nella mia mente, ai tuoi silenzi di plasmare ombre attorno a me. E quelle ombre concepivano sempre nuove forme. Mai riconoscibili, mai familiari. Ogni volta mi avvolgevano e si allungavano sempre di più, come se ci fosse il sole di un tardo pomeriggio estivo a giocare con loro a nascondino. Cercavo di afferrarle o restavo ostinatamente a guardarle. Ma non accadeva mai che giocassero con me. Stanca allora di un gioco di cui non conoscevo le regole, me ne ritornavo sul mio filo, ma avevo perso un altro grammo di equilibrio. La mia anima non aveva più scarpette leggere, erano diventate di piombo e affondavo sempre di più nel tormento della tua assenza. Assenza. Assenza di equilibrio. Assenza dei tuoi occhi. Assenza del tuo profumo e dei tuoi gesti. La tua assenza nelle mie braccia, sulla pelle e sul viso. Quella lontananza che mi piegava le ginocchia, prepotente e distruttrice quanto la tua presenza. Mi pugnalavi sul fianco e poi mi curavi come un medico sapiente. Mi graffiavi e leccavi le mie ferite, eri la piaga fantasma che non guarisce mai. Ma tutte le volte tentavi di colpirmi e affondavi sempre più a fondo la tua lama, per poi stringermi nel tuo abbraccio. E in quell'abbraccio tu mi parlavi, ma non sentivo. Non ascoltavo che la vibrazione delle mie gambe e la tua stretta che mi faceva pulsare le tempie. Sentivo le braccia come morte. Eri entrato come un uragano silenzioso nel mio ordine chiuso. Un ordine che avevo costruito fin nelle pieghe più sottili dell'atmosfera. A volte era un ordine impercettibile, ma era per me la minuziosa imitazione di un equilibrio. Finchè un giorno non hai sovvertito questo piccolo mondo, scuotendomi con i tuoi sguardi disseminati di silenzio. E calmo, hai distrutto la diga, scaraventandomi in quel vortice di dubbi, di domande senza risposte. Le risposte che non avevi. E restavi lì, lasciando che ti ritraessi con i miei occhi di metallo. Fermo e incuriosito, nutrivi la mia fame di te. Per colpirmi più forte, sei caduto sulle ginocchia doloranti, hai tolto gli orpelli dal petto e dalle spalle. Spaventata, ho continuato a ritrarre il tuo maledetto viso disperato. Sottraevo altri grammi al mio misero equilibrio, dalla mia carne, dalla mia volontà. Ora potevo avvicinare la mia mano ai tuoi capelli... Allora di colpo sembrava che tutte le corde degli archi si fossero rotte nel medesimo istante. Come una staffilata nel momento più silenzioso di una sinfonia. Allora continuavo a tacere. Allora continuavo a prendermi i tuoi occhi, mentre tu mi avvelenavi un pò di più. E le mie mani erano fredde. E ritornavo sul bordo a guardarti giocare con i capelli. Ora ne riconoscevo il profumo e la loro assenza.

mercoledì 13 marzo 2013

Summer 78

Con il favore della notte sei entrato in questa stanza. Una stanza piena di gemiti e singhiozzi. Da quella foto, ancora una volta, rinchiusi in quel piccolo spazio. Una scatola? E fuori la pioggia era intenta a lavare tutte le nostre incoscienze. Inconsapevole e silente. E qualcuno suonava quei tasti. Sentivo respiri regolari e alternati, come piccole onde s'infrangevano sui miei fianchi doloranti. L'elettricità di quel temporale tamburellava sui vetri bagnati e tremanti. "Hai sentito?". No. Non potevo che ascoltare le tue mani sulla mia pelle. Con il favore della notte potevo non vedere i tuoi occhi, ma potevo saziarmi della tua pelle che non aveva memoria di me. Le tue mani disegnavano ora su una nuova tela. E in qualche angolo sperduto della nostra testa pioveva ancora, come se il sole fosse sparito per sempre. Non allontanarti ora. Resta con me! Resta nei miei occhi e vattene dal mio ricordo. Non voglio ricordati. Voglio cancellarti nell'attimo in cui vedrò solo le tue spalle. Voglio cancellarti quando non avremo più il favore di questa notte piovosa e lenta. Tanto lenta. Riesco ancora a vedere i tuoi occhi in tutto quel nero. Non voglio ricordare il tuo odore, perchè quando tu non sarai qui mi provocherà fitte acuminate al fianco sinistro. Sarà un dolore sordo. Persisterà e resisterà nell'aria e io odierò la tua assenza. Allora, vattene via e portati quel ricordo che già si attorciglia al mio ventre come una piovra. Ha già macchiato il mio petto. Che neanche questa pioggia riuscirà a lavare via. Il mio corpo ha memoria. Ricorda e ne porta i segni. Ci sono tante morti sul mio cuore. Ha vissuto tante vite e indossa sempre lo stesso abito, quello grigio della solitudine. L'abito della non-morte. L'abito della non-vita. Non indossa il drappo del lutto più profondo. Ma quello di un lutto senza conforto. Un corpo che non sa essere mai nudo. Che non sa dimenticare. Che non può cancellare. E io non voglio che tu veda quelle cicatrici. Non sono per i tuoi occhi, nè per le tue mani. Ma le tue labbra sono qui. E vorrei trattenerti, ma non so come. Vorrei che tu restassi qui, in questa stanza. Vorrei che non smettesse di piovere e che la luce gialla filtrasse piano dai vetri. Ma tremo al pensiero che tu possa leggere oltre. Allora mi volto e spero che la luce liquida dei lampioni si spenga all'istante. Il mio corpo si difende e trema. Come le onde del mare, come piccoli cerchi sull'acqua che si agitano sulla supeficie. E vorrei fermarlo, con la forza del pensiero, con le mani, sotto il tuo peso. Ma non accade. E la pioggia non si ferma. Inconsapevoli del danno, i tuoi occhi mi attaccano come vermi su un cadavere. Invadono e calpestano. E riescono ad aprire le mie costole per insinuarsi dentro il torace cavo. Come puoi farlo? Sento le ossa spezzarsi e la pelle lacerarsi. E rivoli rossi tingono il pavimento. Lentamente scivolano tra le fessure, nelle venature del legno. Raggiungono il confine di pietra e macchiano ogni cosa. La tua presenza è un dolore che sto imparando a riconoscere. Perchè guardi le rose del mio volto? Sono rose ormai appassite. Ho pochi sorrisi e nastri variopinti al posto delle vene. E i miei polsi sono piegati. Perchè la notte è fredda e io vengo dall'inferno. Sei l'Orfeo che è riuscito a salvarmi e tra le mani hai un pezzo del mio cuore. Quello che credevo di aver bruciato, quello sepolto dalla cenere fumante. Non puoi restituirmelo. Non voglio. So che vorresti tornare indietro, ma il tempo non puoi fermarlo neanche fossi Crono. Non puoi restituirmi i giorni dell'inconsapevolezza. Non puoi riprenderti quelle lacrime salate. Ora sono mie. Sono la mia palude e tu non puoi salvarmi dall'annegamento. Ferme, cristallizzate, nella rete imprigionate. Il temporale si avvicina sempre di più e l'acqua più forte travolge le strade e i nostri pensieri. E come la furia della tempesta dovresti uccidermi, sezionarmi, dissanguarmi. Non dovresti voltarti, ma ignorare il mio freddo livore. Dovresti sorridere. Cancella quella parte di pelle che rigenera e nutre il ricordo. "Hai sentito?". No. Non posso che ascoltare il tuo respiro. Ho amato i miei demoni e non so amare una creatura diversa. Non sono come te. Sono un mostro deforme e cieco. Sono un'idea sbagliata. Sono solo un esperimento. Io sono la malattia e il contagio, non sono la cura. Dovresti difenderti dal mio contagio. Non puoi confortare un'anima assente. Il mio tormento è antico e senza pace. Attorno a me non vi sono che macerie e fumo nero. Non posso costruire che case contorte. Non so più comporre, non so più farlo. Non ho che gambe malferme e chiodi nelle braccia. Non c'è misura in me, ma un nulla sconfinato e cocci e lame taglienti. Le mie mani non hanno mai ricevuto, ma ora conoscono il tuo viso e saprei disegnarlo. Ma temo che la pioggia possa smettere. Abbiamo ancora il favore di questa notte generosa? Ho paura che tu possa vedere tutto il mio dolore. Di tutto quello che sono riuscita a farmi senza sentire nulla. Di quelle lacrime che mi hanno fatta vomitare il cuore, accartocciata a terra tra ferri roventi e lamiere contorte. Ho paura che tu veda ogni cosa. Presto non avremo più il favore della notte. La pioggia svanirà. Tu abbandonerai questa stanza. E ho paura poichè è notte che sia un sogno soltanto.

lunedì 11 marzo 2013

E una figura deforme rubò il mio cuore

Forse dovrei smetterla di venire qui, vicino al mare. Smetterla di pensare ad eventuali vie di fuga. Dovrei smettere di fare così tante cose... Dovrei smettere di pensarti. Dovrei... ma non ci riesco. Non ci sei, eppure sei sempre costante nei miei pensieri. Dovrei smetterla di inseguirti, ma davvero non so farlo. Sei una presenza muta, silenziosa e flemmatica, ma ci sei e io non posso farne a meno. Dovrei smettere... Dovresti smettere anche tu. Smetterla con la tua gentilezza innata. Dovresti smetterla di essere come sei con me. Dovresti smettere di fissarmi, smetterla con il tuo dialogo muto. Dovresti, ma non lo fai. E non so perchè non lo fai. Avresti infiniti motivi per farlo. Saresti libero di non spiegare più nulla ai miei occhi. Non dovresti più guardarmi. Non dovresti più forzare le tue parole a risalire dallo stomaco alla gola. Non dovresti più sentire che raschiano il palato come piccoli chiodi appuntiti. Non dovresti ogni volta deglutire come se tentassi di affogare quelle parole nella tua saliva, per poi ricacciarle giù, tra lo stomaco e il cuore. E io non sarei più costretta a fissare la tua gola, a quanta fatica ti costa, con quanta violenza lo fai. Ma ogni volta lo fai e io mi ritrovo a fissare ipnotizzata il moto inconsulto che compie la tua gola bianca. Allora alzo lo sguardo e vedo i tuoi occhi fissi nei miei. Ci fissiamo e ci facciamo del male con lo sguardo. E so che la tua trachea sta cercando di ricacciare quelle parole in fondo. Più giù. E vedo la tua tempesta... Non dovresti più fingere di aver lasciato il tuo tormento a casa. Non dovresti fingere di avergli messo il guinzaglio. Non dovrei più ricacciare dietro i miei occhi, le lacrime. Perchè i tuoi stentati sorrisi mi fanno lacrimare. Perchè io so delle tue battaglie interiori, so della forza che ci metti per traumatizzare i tuoi pensieri. So della tua faccia scura, della tua paura, del tuo orrore. Di tutte le macerie che tenti di nascondermi. Di tutte le abitazioni malferme che hai costruito sopra. So con quanto dolore ti fai guardare dentro. So di aver visto cose che non avrei dovuto, perchè da quel giorno tormentano anche me. E non devi sapere del mio tormento. E devo fingere di essere una persona che "Non nota". E ora, mi risulta difficile non guardare la tua gola o i tuoi occhi. Mi sforzo di non comunicare nulla con gli occhi, ma non sempre posso controllarli. Quelle orbite assassine e traditrici. Quelle orbite che vedono ogni cosa. Anche le cose perdute. Dovresti proprio smetterla di essere lì, alle mie spalle, a fissarmi quando infuria la tempesta. Non dovresti prendere le mie mani. Non dovresti avvicinarle al tuo viso. Non dovresti più incidere la tua guancia sul mio palmo. Perchè brucia. Il tuo viso arde e freme e la mia mano non sa darti sollievo. E vedo un'altra battaglia. Vedo altre morti e sangue e dolore mal celato. Vedo lacrime, ne sento i gemiti silenziosi. Vedo la rabbia dietro le palpebre, nel tuo pianto convulso e invisibile. Dovresti smetterla di assistere alla mia agonia. Non rendertene partecipe, ti prego, non tentare di capire, non guardarmi con quegli occhi che sanno troppo. Io non sono alla tua altezza, io non sono come te e dovrei smettere di fingere di esserlo. Tu non dovresti guardare "oltre" e io dovrei riuscire a dirti "vattene". Invece i nostri occhi non sanno mentire. Continuiamo a farci del male, eppure non sappiamo resistere dal non farlo. Ci infliggiamo dolore. Ogni volta, combattiamo sapendo di perdere. Dovremmo proprio smetterla di raccogliere cadaveri e lance spezzate e armi insanguinate. Dovremmo zittire quella parte, che puntuale come un orologio nefasto, ci sussurra di non armarci e di combattere ugualmente. Smettila. Tenta almeno una volta. Prova a chiudere i tuoi occhi, prova a non mostrarmi... Dovrei smettere di sognare tutte le notti la tua gola bianca, le tue guance e le tue mani sottili. Dovrei non pensare alla punta del tuo naso. Quella punta che come un uncino, arpiona la pelle del mio viso. E non pensare più alle tue ciglia nere e lunghe come le penne di un corvo. A quelle ciglia che formano delle ombre lievi sul tuo viso. Quelle ciglia che sento sotto le mie dita. E so che da sotto a quelle piccole tende, tu mi osservi, immobile e silente come una statua di granito. Forse potrei anche smettere di pensare al tuo cuore che pulsa. Lo credevo morto, pensavo fosse ora una carcassa nera in decomposizione. Dovresti smettere di occupare i miei pensieri, la notte. Non dovresti entrare nel mio coma, come un traditore, perchè in quei momenti io non posso combattere, perchè ho deposto le armi, perchè sono abbandonata e vulnerabile, come un fiore sul ciglio della strada. Sono lì, sulla linea bianca che divide il cemento dall'erba che cresce selvaggia. E non posso far altro che soccombere. E soccombo al tuo pensiero, ogni volta. Ogni volta, una nuova sepoltura. Ogni volta una piccola morte al mio risveglio. Indolente e svuotata resto ad osservare la nostra camera ardente. E non posso piangere alcun cadavere, ma solo un'assenza che mi colpisce in pieno viso. Una non presenza che mi prende lo stomaco come un pugno d'acciaio. Allora ripenso a quegli occhi che non ho saputo asciugare, a quel dolore che non ho saputo capire. Ripenso alle parole non dette, a quel silenzio che ci attraversava il petto e le spalle. Chiudo gli occhi, tentando di scacciare quell'immagine, ma non và via... Solo il mare riesce a placare il ricordo, per un attimo. Allora corro sulla spiaggia e lascio che il vento porti via le mie notti insonni. Ma appari tu. E non dovresti! Non dovresti guardarmi. Non dovresti più... Non dovrei più...

giovedì 14 febbraio 2013

Mad world

La spiaggia piena di detriti. Tutti quelli che il mare aveva restituito in un impeto di rabbia tempestosa. Il sole caldo, nonostante l'inverno inoltrato. Qualche coraggioso si arrischiava a farsi inseguire dalle onde svogliate che si rotolavano una dietro l'altra, sulla riva. Coriandoli sparsi un pò ovunque. Tanti piccoli puntini colorati spuntavano dalle fessure delle mattonelle di cemento. Fissavo i piccoli cerchi colorati e mi perdevo in chissà quali pensieri. Poi, quegli occhi. Ma non erano più gli occhi arrabbiati che ricordavo, erano tristi e volevano dire tanto. Non riuscivo a capire cosa. Mi fissavano insistenti. A volte timidi, a volte no. Restavo ferma nella mia posizione di muto spettatore mentre tu guardavi me che fissavo il mare. Ancora quel tuo sguardo. Sapevo che mi stavi studiando anche se non mi voltavo a guardarti. Sentivo il tuo respiro vicino a me eppure non lo eri. Eri lontano e continuavi a guardarmi. Immobili come statue. Persi nei nostri pensieri. Fermi ad inseguire parole. Guardavo i cani correre felici vicino alla riva. Li invidiavo e pensavo ai tuoi occhi scuri. A quegli occhi che forse in fondo non volevano dirmi nulla. Poi sentivo le tue dita muoversi rapide e spostarmi qualche ciocca maleducata dal viso. E per un attimo, solo per un attimo i nostri occhi, finalmente s'incrociavano. Ma in un mondo completamente impazzito quanto possono contare i nostri sguardi? E i tuoi sorrisi e le mie parole al vento? Siamo solo due naufraghi che non riescono più a tornare a casa. Io ho smarrito la strada e forse non ho più voglia di tornare in una vecchia casa abbandonata e fredda. Preferisco la spiaggia con i suoi detriti, le sigarette e il vento che sposta i coriandoli. Sei ancora lì fermo nel tuo pensiero costante? Ancora quel tuo sguardo indagatore? Parlami. Dimmi delle tue notti insonni e dei tuoi libri smarriti. Parlami della tua musica, di quella che ti scuote le membra, tra lo stomaco e il cuore. Ancora quei tuoi occhi che non comprendo. Quello sguardo che sento dietro la schiena, tra le scapole. Quegli occhi che mi trapassano il torace, come una lancia. Parlami di quello che non ti dà pace, di tutto quello che ti piace inseguire. Parlami dell'odore dei libri vecchi e dei disegni che hai smarrito tanto tempo fa. Non guardarmi più. Parlami con gli occhi chiusi. Immobile e per un attimo dimentico di tutto. Chiudi gli occhi. Lo senti il mare? Si. Anche se non lo vedi, riesci a sentire le onde che si distendono veloci sulla sabbia. Riesci a sentire il suo profumo e la sua forza. So che riesci a sentirlo. Perchè il mare è forte. Parlami così, come se parlassi a lui. Ad occhi chiusi. Parlami e io guarderò le tue ciglia lunghe disegnare piccole ombre sul tuo viso. Parlami senza usare gli occhi. Parlami quando il mare si riprenderà i suoi detriti. Quando il mare sarà calmo e docile. Parlami... Continuo a fissare la spiaggia desolata, i coriandoli e i gabbiani. I miei pensieri, si sono fermati per un attimo. Sento ancora quello sguardo. Ti sento respirare. So che mi stai guardando e so che non parlerai. Non lo farai su questa spiaggia. Non lo farai oggi, perchè il mare è ancora troppo arrabbiato. Non parlerai che con i tuoi occhi scuri...

giovedì 17 gennaio 2013

Requiem for a dream

Eri in quella vecchia pellicola. Eri nelle mie pagine. Ancora una volta percorrevamo quello strano sentiero. Era tutto un intrico di rovi, foglie intrecciate tra loro, spine e rami che sbarravano il nostro passo malfermo. L'aria era completamente ferma. Come una coperta pesante, una mano possente che ci mozzava il fiato. Il cielo plumbeo gravava su di noi come un macigno. Il tetto d'aria e di nuvole continuava a scendere sempre di più sulle nostre teste. Ancora imprigionati in quel labirinto di pensieri. Ancora fermi su quelle pagine mai scritte. Conosco il tuo odore e le tue paure. Quanti addii nella nostra vita? Quante volte? Ero nel tuo letto quando i tuoi occhi erano solo per me. In quella stanza che ci ha rubato l'anima. Il tempo trascorso lì, è rimasto sospeso nell'aria. I mobili si nutrivano delle nostre parole e i nostri sospiri fuggivano via, si nascondevano tra le lenzuola, dietro le tende leggere, nelle pieghe dell'aria estiva. Siamo ancora lì? Aprire di nuovo quella porta, significa riaprire una fiala di profumo. Anche se il suo contenuto è svanito, riesco ancora a sentirne l'essenza. Siamo ancora lì, in quella strana notte. In quella notte piovosa e lacerata, in quella notte fumosa e nemica. Al buio, quando respiravo il tuo odore, quando straziavi le mie mani. Quando la pioggia lasciava spazio alla lieve brezza del mattino. Quella brezza che smuoveva le tende diafane e rosse e come un minuetto danzava sui nostri occhi chiusi. Sulla nostra fredda pelle. Quando i tuoi occhi non sapevano dirmi "addio", quando le tue ginocchia cedevano alle mie mani. Quando non conoscevo la distanza. Quando aspettavo la notte che non abbracciava ansie. Quando non avevo paura. Quando le mie mattine non sapevano di fiele. Quando il dolore era solo un suono lontano. E ora ogni cosa è stata sostituita da attimi di sospensione. Tutto è fermo, in assenza di gravità. E io aspetto ancora le tue parole. Quelle parole che non giungono mai. La soglia del mio orecchio sanguina. Le mie mani tremano. Le mie gambe si sono ramificate nella nuda terra. Solo un suono ripetitivo e metallico scandisce il mio tempo. Un metronomo che batte e segna la mia elettronica attesa. Vivo nel mio coma virtuale. Sono l'Orfeo che non farà più ritorno dall'Ade. Ma tu, mia dolce musa, non mi aspetti già più. Il mio coma è un limbo che mi trascina in un corridoio senza fine. Tu, musa, la mia salvezza, non prenderai mai più il mio viso tra le mani. Tu, la mia risposta, non avrai più parole per me. Io sono ferma lì. In quel labirinto fantastico che è la tua mente malsana e lunare. Oh musa, libera le mie mani e la mia mente dal tuo pensiero fatale. Musa malata e pallida, vestale dell'oltretomba, ancella di morte, liberami ora. Liberami dalle tua catene di ghiaccio stellare. Non mostrarmi più i tuoi occhi, ti prego. Abbandona questa dimora. Libera la mia anima da questo tormento. Liberami dall'estasi dei ricordi. Oh perfida musa... Sei ancora lì?

mercoledì 9 gennaio 2013

In una fosca mezzanotte, qualcuno bussò alla mia porta...

Le strade erano affollate. L'aria fuligginosa e grigia di un mattino nebbioso, mi avvolgeva. Un sole timido tentava di farsi strada tra le nubi svogliate. Un vociare di sottofondo, passi svelti attorno a me. Mi ero persa. Dove sei? Nulla può distrarmi ora, da te. Perchè so che tu arriverai dal freddo pianeta che t'imprigiona. Non sento il loro meccanico vocio. Poveri mortali! Maledetti automi metallici! Posso solo sentire il battito distratto del mio cuore. Mi volto, ma tu non ci sei. Non sei qui, eppure so che sei accanto a me. Dove sei? Ancora non conosco il suono della tua voce, ma riesco a sentire i tuoi respiri da lontano. Dove sei? Compio qualche passo e poi mi fermo, circondata dalla folla estranea. Ancora un passo e un altro ancora. La luce del mattino mi abbraccia con la sua coltre pesante. La nebbia invade ogni cosa e nasconde i miei passi cadenzati e incerti. Tu sei qui! Ti ho visto stanotte in quel sogno, nella mia stanza, quando hai bussato alla mia porta. Ho sentito il tuo abbraccio. Ho chiuso gli occhi nell'incavo spigoloso della tua spalla. Abbandonata, ho respirato nel tuo collo. Le mie braccia, cavi di rame e ruggine, erano fredde, ma le tue labbra mi hanno dato calore. Ho sentito il tuo sangue fluire delicato. Eri nella mia notte inquieta, e le tue mani... Le tue mani sul mio volto. Modellavano la mia maschera per i tuoi ricordi. Dove sei ora? Cerco ancora i tuoi occhi sconosciuti, ma vedo solo volti senza occhi, con orbite cave e buie. Ho sentito la tua anima parlarmi da una distanza incolmabile. Sei qui adesso? Abbiamo aspettato un tempo lunghissimo per poter saziare la nostra fame e la nostra inquietudine. Dove sei? Poi la nebbia, come grazie ad un incanto, si è diradata in un attimo. Il sole era scomparso lasciando spazio ad una pallida luna. Dov'era ora tutta la folla che m'imprigionava? E tu? Ti ho sentito. Ho contato i passi che ti separavano da me. Io, immobile, ho atteso. Sei qui? Solo dieci passi...Sei qui! Ho chiuso gli occhi. Ho trattenuto il respiro. Poi un sussurro: "Shelly...". Mi sono voltata. Per un attimo non ho più sentito i battiti del mio cuore. Ho aperto gli occhi e ti ho sorriso. "Sei tornato da me, Eric!". Vestivi ancora dei colori della notte, ma della tua notte. Una notte orfana di stelle. Una notte gelida, senza la tua luna ad illuminare le nostre strade. Una notte di lacrime nere. E mi sono persa nel tuo abbraccio. Nel vuoto, che ora ci circondava. In quella notte infinita, ti ho amato. Le mie mani nelle tue. Siamo ritornati in quella stanza buia piena di vetri infranti, dove un tempo siamo stati felici e che ora nascondeva solo le nostre lacrime, la nostra disperazione, il nostro dolore. Eravamo lì. Nelle quiete stanze dei nostri ricordi. E quella notte, nessun viandante, bussò più alla nostra porta.

martedì 1 gennaio 2013

L'altra faccia della luna

C'era una volta l'altra faccia della luna... Tu cosa ci vedevi? Io ho sempre visto solo la sua luce perlata. Adesso mi rendo conto che c'erano ombre profonde e un vento terribile che trascinava via ogni cosa. Mi hai rubato tutto. La mia fantasia e il mio sorriso. Quella sera c'era una luna bruna, pallida e malata. Tu, torreggiavi su di me, come un demone insaziabile. Con quelle tue mani pallide, il tuo volto emaciato, con la tua gravità assassina. Tu eri l'altra faccia della luna. Quella parte che non si vede mai. Il lato oscuro dei miei desideri. Nell'attesa di quelle parole, sentivamo gli archi provenire di lontano. Erano le viole e i violini che piangevano. Erano i tasti che battevano malinconici. Erano tutte quelle parole che non avremmo mai pronunciato. Poi ad un tratto il buio. Riuscivo a vedere ben poco del mio orizzonte. Un campo arato e a riposo. Ma non sentivo più alcun rumore ne un verso che mi facesse pensare a qualche forma di vita. Le mie ossa tremavano. Sentivo i tuoi fremiti leggeri e l'attesa... Quell'attesa che è presagio di fine, di morte incombente. C'era ancora l'altra faccia della luna? Mi hai negato ogni cosa. Le tue mani e il tuo dolce canto. Mi sono rimaste solo le tue matite colorate e qualche foglio sparso sul pavimento. Le fiamme su quelle strane fotografie. Sei sull'altro lato di quella pallida mentitrice? Ma un giorno mi hai vista piangere e ho visto un tremolio nei tuoi occhi. Le rose gialle si sono inchinate e tu immobile come una statua mi fissavi come se fossi stata un miracolo della natura. Dove vai ora? Senza tenere più le mie mani nelle tue. La notte è fredda e sento le tue onde che s'infrangono sotto i miei piedi. Dove sei? Ora canti solo per te senza il tuo cappotto di stelle. Oh luna dalla doppia faccia! Riportamelo dall'inferno. Riportami la sua anima perduta. Ridammi i suoi occhi senza luce. Cosa si cela sull'altro tuo volto, ancella bugiarda? Hai portato con te il mio demonio e le sue parole. I suoi sorrisi tristi. Hai lasciato le mie labbra orfane e le mie mani fredde. Perchè non puoi portarmi con te nel tuo inferno? L'altra faccia della luna non ha più ne rose ne matite colorate, non ha più gravità, non ha più nessuna forma di gioia. Ci sono solo corvi gracchianti. Il mio sangue sui petali di quelle rose. I miei respiri chiusi nei tuoi barattoli colorati. A volte, per qualche piccola frazione di secondo, ho rivisto una falce di luna, quella che aveva un colore bruno, quella che apparteneva solo a noi. Ora il cielo non ha più la sua regina. Lei è morta, caduta all'inferno con te. Insieme, cullati dalle onde siete fuggiti via dal mio cuore e dalle mie vene. C'era una volta l'altra faccia della luna... C'era una volta. Ora non c'è più!