lunedì 15 aprile 2013

Claire de lune

Uno strano chiarore entrava in quella stanza. Grande e vuota, come lo era stato il mio cuore. Un fascio di luce gialla timidamente attraversava la soglia e s'insinuava sul pavimento. Un triangolo di luce si disegnava nitido e obliquo sul legno dipinto. Dalle finestre non entrava nulla se non un vago chiarore e voci in lontananza. Una musica a tratti. Leggera e dolce. Un pianoforte? Ascoltavamo in silenzio, rapiti dalle note scandite nella notte. Nessuna parola. Neanche il più piccolo respiro. In silenzio continuavo ad insinuare le mie dita fra i tuoi capelli morbidi e scuri. Ma il tempo è sempre troppo veloce per noi che con assenza di gravità passeggiamo sulla luna. Ogni volta un allunaggio perfetto. Misurato. Cadenzato. Come una danza che solo noi possiamo comprendere. Come tutte le volte che fissi i tuoi occhi nei miei e vorrei scomparire. Come tutte le volte che sfiori il mio viso. Come tutte le volte che mi abbracci e sento il pavimento spostarsi e perdo l'equilibrio. E sento di non avere più gravità. Come il chiarore che piano invadeva la nostra stanza. Era la luna che ci fissava curiosa. Illuminava le tue mani. Eri nel triangolo di luce per metà, l'altra metà era nascosta nell'ombra e curiosa cercavo di carpire ogni tua espressione. Era un sorriso? Forse un sorriso storto. Avrei voluto strappare le lancette all'orologio che sghignazzava beffardo sopra le nostre teste. Avrei voluto così tante cose. Avrei voluto dare forma ai miei pensieri. Avrei voluto per un attimo non odiarmi. Avrei voluto non odiare il mio corpo. In quell'istante allora tu poggiavi le mani sul mio fianco ancora dolorante e smettevo di odiarlo. Cessava l'odio e la rabbia. Lo ringraziavo perchè la mia pelle aveva già memoria di te. E ti fissavo. Rubavo un pò di te ogni volta che potevo. M'impossessavo dei tuoi strani occhi scuri. Occhi che guardavano sempre al di là di me. M'impadronivo delle tue mani bianche come la neve. Avrei voluto non chiudere mai gli occhi. Avrei voluto perdere il sonno. Così da poter portare ancora un altro pezzo di te con me. Quante cose ancora avrei voluto... E di nuovo il pianoforte invadeva tutto e l'aria sopra di noi diventava leggera e il silenzio era una sciarpa di seta che ci riscaldava. Eri in tutte le cose. Era nei miei pensieri e tra le mie braccia. E mi piaceva sentire il tuo respiro calmo e regolare. Avevi abbandonato la finta luce ed eri sulla mia pelle. Nel chiarore della notte che ci sfuggiva dalle mani. Liquida e veloce. Non avevamo presa su tutto quel buio e ci affidavamo agli altri sensi. E sentivo quel profumo ora così familiare. E sentivo il tuo tocco così delicato. E i tuoi occhi attraversavano lo spazio strettissimo che ci divideva. Quegli occhi che avevano sempre un bagliore caldo a dispetto dei tuoi pensieri spigolosi. A dispetto del tuo dolore così articolato. Come avrei potuto chiudere gli occhi in quel momento? Come avrei potuto privarmi delle tue parole non dette. Ma il tempo decideva sempre per noi. E già non eravamo più in quella stanza, ma in due differenti microcosmi. Allora e solo allora potevo chiudere gli occhi e riempire le mie notti delle visioni che avevo rubato. Il pianoforte mi riportava in quella stanza come se fossi fatta d'aria. Inconsistente e senza forma ero di nuovo lì ad osservarci. Ma questa volta il rettangolo di luce non c'era più. Avevo spento tutte le luci, lasciando solo la luna ad illuminarci e ad illuderci. Eravamo ancora lì, fra i tasti bianchi e neri, inondati di bianca luce notturna. E le tue mani erano ancora una volta sulla mia pelle, tra i miei capelli scomposti. Riuscivo a sentirti. Potevo fare ogni cosa, senza sforzo nè dolore. Cercavo di non aprire gli occhi, per non far svanire tutte quelle visioni a me care. E mi lasciavo cullare dal tuo calore, anche se non eri più lì ed io ero ora un fantasma inquieto in cerca di pace. E restavo lì fino al mattino. Quando ormai il chiarore del giorno annunciava la mia disfatta. Quando la luna aveva ritirato i suoi raggi perlati. Il pianoforte allora restava muto e io stanca chiudevo gli occhi, abbracciando le mie piccole visioni. La notte era finita e il giorno annunciava un'altra attesa. L'attesa di te. L'attesa del tuo sguardo e dei tuoi sorrisi. L'attesa di un'altra luna, che presto mi avrebbe riportata in quella stanza, stavolta nella mia forma mortale.

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