lunedì 5 novembre 2012

Giungla nord

Aveva uno sguardo limpido. Semplice e diretto. A volte un pò imbarazzato, ma tutto sommato "da bravo ragazzo". Un velo di tristezza spesso offuscava quell'azzurro chiaro e rendeva tutto un pò più grigio. Era come il mare. Calmo e placido con orizzonti soleggiati che all'improvviso venivano minacciati dalla tempesta. Una tempesta che covava e che spesso reprimeva. Reprimeva la sua tempesta interna, mangiandosi le unghie. O rigirandosi l'orlo della felpa tra le dita, come fosse un modo per non guardare indietro, al suo passato burrascoso. Era sempre lì, seduto su quella ringhiera del lungomare. Una ringhiera che un tempo doveva essere stata dipinta di verde, ma che ora, la salsedine aveva consumato e rosicchiato. Andava lì con il suo cane. Ascoltava la musica. Prediligeva quella classica, soprattutto nei giorni di pioggia, quando il vento spostava le onde fin sotto gli scogli davanti alla piccola baia. Sedeva lì per ore a guardare il mare. Un mare che conosceva bene e che in fondo era la sola cosa che lo facesse sentire davvero a casa sua. Era alto e aveva spalle larghe e possenti. I capelli biondi, corti, tagliati talmente corti che s'intravedeva lo svolazzo di un tatuaggio uscire dal collo della felpa per insinuarsi fin sotto l'orecchio destro. Ne aveva molti di tatuaggi, ognuno gli ricordava un luogo in cui aveva vissuto, o un'esperienza particolare, una donna, una passione, sua madre, il mare e la morte. Tutto ciò che aveva attraversato la sua vita aveva deciso di ricordarlo per sempre. Per sempre con disegni indelebili e colorati, incisi sulla pelle ambrata. Seduto in quella posizione quasi innaturale e scomoda fissava l'orizzonte, sognando di poter andare via presto e di non tornare mai più. Poi un giorno la vide. Passeggiava sul lungomare, con la testa bassa, le cuffie e le mani dentro le tasche della giacca di pelle. Sembrava un folletto. Il suo passo svelto e deciso, il suo sguardo basso, fisso sulle scarpe colorate. Aveva calze e scarpe rosse. Sembrava uscita da un fumetto. "Non ho mai visto scarpe così colorate" pensò lui. Quella ragazza lo attirava come una calamita. Lo incuriosiva e al tempo stesso gli trasmetteva calma. Una calma che irradiava dal suo passo deciso, ma non isterico. Camminava guardando a terra e rigirava il filo delle cuffie tra le dita della mano destra, portava un cappellino da baseball calcato sui grandi occhiali da sole, colorati anch'essi. Un ciuffo di capelli rosso fuoco spuntava irriverente dal berretto, che lei, con la mano sinistra tentava di ricacciare dentro con malcelata insistenza. Tutto ciò che indossava era molto variopinto, ma il suo sguardo, che s'intravedeva dalle lenti era malinconico, come se in lei ci fosse una tristezza insita. Ormai la vedeva passare di lì tutti i giorni. Per lui era diventato un appuntamento fisso, ma lei sistematicamente sembrava non accorgersi della sua presenza...

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