giovedì 8 novembre 2012

Scacco al re

Uno specchio appoggiato alla parete. Nero e coperto di polvere. Quella che si era accumulata negli ultimi 100 anni. Uno squarcio nella parete come una ferita ancora aperta. Le membra attaccate dalla cancrena come un branco di lupi affamati e ululanti. La pelle era diventata carne marcia, ammuffita dalla morte. Allungai la mano attraverso la ferita del muro, verso un'altra dimensione. La ruggine e la calce m'impedivano il passaggio. Le aste d'acciaio che sbucavano dal muro erano taglienti e lucide. Il suono di un pianoforte dall'altra parte. Ero avvolta nel tuo liquido amniotico. Abbandonata, con la mente annebbiata. Ancora sangue. Il sangue tingeva i miei sogni tutte le notti. Volti e mani ricoperti di sangue vecchio e rappreso. Gli ultimi 100 anni erano passati in un attimo, durante il tuo sonno infantile. Sui tuoi occhi serrati, fuliggine e cenere. Sulla tua sepoltura, fiori appassiti e secchi. Il legno era marcito, umido e ridotto in brandelli. I violini erano stati riposti nelle loro custodie, addormentati in quel letargo forzato. Mi spingevo attraverso il muro, cercavo di forzare il mio corpo, come se non avessi consistenza, come se non avessi ossa. Attraversai la penombra della camera da letto, come un morto che cammina tra le tombe silenziose. Fuochi fatui e odore di decomposizione sulle lapidi. Quello era il luogo dei nostri recenti trapassi. E tutto era avvenuto senza una degna sepoltura. I vermi avevano già iniziato la loro opera di smantellamento epidermico. Quello era il mio patibolo. Il letto: assi di legno e corda sciolta. La mia ingenuità mi perseguitava ancora adesso. Cercavo un'altra volta il tuo ordine, il tuo volere di carnefice. Ma questa volta mi sarei distesa nella bara con un sorriso storto. In quel chiaro-scuro soffocante, vidi solo le tue spalle curve e i tuoi occhi non c'erano più. Orbite cave e buie. Eri lì, seduto sul letto, davanti ad una scacchiera d'argento. La tua mente era altrove e tu eri intento a studiare tutte le possibili mosse. Un altro scacco matto al mio cuore? I vermi si agitavano sulla coltre e sulle tende fluttuanti. Ogni cosa era assopita e abbandonata, da quando tu avevi fermato le lancette del tempo. L'aria era stagnante e rarefatta, la mia gola serrata e arida quanto il deserto. I fuochi fatui danzavano davanti al tuo volto di pietra. Non eri più la mia statua greca, ma il mostro a guardia del mio santuario. Un mostro senza più occhi nè cuore. Una belva feroce che non risparmia nessuno. Eri la mia pace e sei diventato il mio tormento, la mia dannazione, la mia ossessione. Ero pronta per giocare ancora una volta? Hai annusato la mia presenza. "Siediti!" hai ringhiato. Ho provato a resistere, ma ho avuto pena dei tuoi occhi vuoti. Hai tenuto per te tutti i pezzi neri. Io ero la regina d'avorio circondata da un esercito di codardi. Attendevi la mia mossa fallace. Sapevi che avrei sbagliato e forse lo sapevo anch'io. Ho provato a giocare, pur non conoscendo le tue regole, senza alcuna speranza, ho scelto liberamente il massacro. SCACCO MATTO! Le tende sono cadute e i vermi dileguati. Con il dorso della mano hai distrutto il mio misero re e hai fatto a pezzi la scacchiera. I pezzi rotolavano sul pavimento in un vortice bianco e nero, mentre noi ci fissavamo come due guerrieri sfiniti. "Inginocchiati!" hai sibilato come un rettile. Avrei voluto gridare, piangere, dentro mi dibattevo come un uccellino in fin di vita. Ma le mie ginocchia risposero al tuo comando di morte, come se avessero avuto vita propria. Tutto il mio corpo prendeva linfa dalla tua voce. "Abbassa il capo. Non hai il diritto di guardarmi. Sono il mostro che si ciberà della tua anima, che si nutrirà del tuo cuore puro". Da quella posizione potevo vedere solo i tuoi piedi immobili. Hai compiuto un mezzo giro attorno a me. Eri dietro di me. Il silenzio era assordante e l'attesa della mia condanna mi faceva tremare. Vidi un riflesso. Una lama di luce che si agitava sulla parete bianca. Un tremolio continuo. Cercai di fermare la mia mente ballerina. Non poteva essere un fuoco fatuo, perchè non vi era nessuna forma di vita in quella stanza. Non sentivo nulla provenire da te. Neanche il più piccolo respiro. Era la tua scure. E tu, il mio boia, eri già morto! Con chi avevo combattuto? Avevo battuto l'altra me. Avevo distrutto la mia parte malsana. Tu non eri più lì. Avevi vinto la tua battaglia. A me non restava altro che il silenzio.

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