mercoledì 19 settembre 2012

Malebolge

Si guardava allo specchio e non riconosceva quell'estranea. Chi era? Non lo sapeva più. Era crollato il ponte di pietra che conduceva all'altra sponda. Avrebbe dovuto scendere giù, vicino alla frana e nuotare in quella melma putrida. Il viso scavato e stanco. Un corpo giovane, ma troppo magro. Aveva le forme di una donna, ma gli occhi di una bambina. Ingenua, curiosa e impaurita. Le forme erano armoniose, ma avevano tratti molto mascolini; spalle larghe e forti. L'estranea allungò il braccio attraverso la lastra trasparente. Spaventata fece un salto indietro. Chi era? Nell'aria c'era una nuvola di polvere grigia, densa e pregnante. La melma scura lambiva la riva come una lingua viscida e spostava le pietre scheggiate del ponte da una parte all'altra. Rotolavano avanti e indietro nella scura vernice come biglie. Cosa vuoi? Quella donna continuava a fissarla e allungando una mano le sfiorò una spalla. Le conficcò le unghie nella carne scura. Rivoli rosso vermiglio iniziarono a colare sul seno. Allontanò quella mano con un movimento rapido, come se avesse voluto scacciare una mosca fastidiosa. L'aliena uscì dallo specchio e le afferrò i capelli. Erano corti, sottili, ma al tempo stesso doppi come corde. I capelli nelle mani dell'estranea divennero serpenti... Il mare nero avevo sterminato già da tanto tempo qualsiasi forma di vita. Le macerie del ponte riaffioravano a tratti sulla superfice viscida. L'aria era incandescente e soffocante. Era doppia, e oscena. Era tutto claustrofobico come se una lastra d'acciaio costringesse a chinare il capo sotto il suo peso. La donna non era più una donna, ma un uomo. Chi sei? Sono il demone che ti tiene compagnia tutte le notti. Il demone che ha distrutto il ponte, costringendoti a restare per sempre su questa sponda. Il fiume, un tempo, era limpido, contornato di fiori rigogliosi, con colori vividi e odorosi di gioventù. Ho messo in fuga tutte le creature che ti hanno tenuto compagnia. Ho distrutto ogni forma di vita. Ho reso l'acqua che dissetava la tua gola, nella fanghiglia che ora ti nausea. Mi hai cercato tu. Ogni notte, nei tuoi sogni, chiamavi il mio nome. Tu lo chiamavi "Amore" e io non ho potuto resistere a quelle parole. Il tuo paradiso non è mai esistito. Nel momento in cui l'ho distrutto, tu ne hai goduto. E io ti ho amato come nessun uomo è mai stato in grado di farlo. Ti ho fatta mia e ti ho incatenata alla mia infelicità, alla mia roccia. Sei stata il mio Prometeo e hai permesso che ogni giorno divorassi il tuo fegato. Ti ho sollevata tra le braccia e hai permesso che ti legassi ai miei voleri e capricci. L'uomo la fissò per un tempo indefinito. I suoi occhi conoscevano la morte. Si rese conto di aver amato qualcosa che non esiste. Si portò una mano al petto e non sentì nulla. Nessun battito, nessun guizzo. Il fiume di morte, il ponte distrutto, le macerie erano ora la sua nuova dimora. Non ricordava più come fosse il fiume prima della metamorfosi. Al posto del cuore una ferita lunga e poco visibile. Al posto dei capelli serpenti. Le mani sporche di sangue. Guardò l'uomo con una domanda muta sulle labbra. Dov'è il mio cuore? L'uomo aprì una mano e le mostrò il suo cuore in decomposizione. L'aria stagnante lo sgretolò all'istante... Non ne rimase niente, se non una polvere azzurrognola, che l'uomo lasciò andare via. Non aveva più lacrime... Il fiume era morto come lei, come quel suo amore malato. Come tutti i suoi sogni infranti...

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