mercoledì 13 marzo 2013

Summer 78

Con il favore della notte sei entrato in questa stanza. Una stanza piena di gemiti e singhiozzi. Da quella foto, ancora una volta, rinchiusi in quel piccolo spazio. Una scatola? E fuori la pioggia era intenta a lavare tutte le nostre incoscienze. Inconsapevole e silente. E qualcuno suonava quei tasti. Sentivo respiri regolari e alternati, come piccole onde s'infrangevano sui miei fianchi doloranti. L'elettricità di quel temporale tamburellava sui vetri bagnati e tremanti. "Hai sentito?". No. Non potevo che ascoltare le tue mani sulla mia pelle. Con il favore della notte potevo non vedere i tuoi occhi, ma potevo saziarmi della tua pelle che non aveva memoria di me. Le tue mani disegnavano ora su una nuova tela. E in qualche angolo sperduto della nostra testa pioveva ancora, come se il sole fosse sparito per sempre. Non allontanarti ora. Resta con me! Resta nei miei occhi e vattene dal mio ricordo. Non voglio ricordati. Voglio cancellarti nell'attimo in cui vedrò solo le tue spalle. Voglio cancellarti quando non avremo più il favore di questa notte piovosa e lenta. Tanto lenta. Riesco ancora a vedere i tuoi occhi in tutto quel nero. Non voglio ricordare il tuo odore, perchè quando tu non sarai qui mi provocherà fitte acuminate al fianco sinistro. Sarà un dolore sordo. Persisterà e resisterà nell'aria e io odierò la tua assenza. Allora, vattene via e portati quel ricordo che già si attorciglia al mio ventre come una piovra. Ha già macchiato il mio petto. Che neanche questa pioggia riuscirà a lavare via. Il mio corpo ha memoria. Ricorda e ne porta i segni. Ci sono tante morti sul mio cuore. Ha vissuto tante vite e indossa sempre lo stesso abito, quello grigio della solitudine. L'abito della non-morte. L'abito della non-vita. Non indossa il drappo del lutto più profondo. Ma quello di un lutto senza conforto. Un corpo che non sa essere mai nudo. Che non sa dimenticare. Che non può cancellare. E io non voglio che tu veda quelle cicatrici. Non sono per i tuoi occhi, nè per le tue mani. Ma le tue labbra sono qui. E vorrei trattenerti, ma non so come. Vorrei che tu restassi qui, in questa stanza. Vorrei che non smettesse di piovere e che la luce gialla filtrasse piano dai vetri. Ma tremo al pensiero che tu possa leggere oltre. Allora mi volto e spero che la luce liquida dei lampioni si spenga all'istante. Il mio corpo si difende e trema. Come le onde del mare, come piccoli cerchi sull'acqua che si agitano sulla supeficie. E vorrei fermarlo, con la forza del pensiero, con le mani, sotto il tuo peso. Ma non accade. E la pioggia non si ferma. Inconsapevoli del danno, i tuoi occhi mi attaccano come vermi su un cadavere. Invadono e calpestano. E riescono ad aprire le mie costole per insinuarsi dentro il torace cavo. Come puoi farlo? Sento le ossa spezzarsi e la pelle lacerarsi. E rivoli rossi tingono il pavimento. Lentamente scivolano tra le fessure, nelle venature del legno. Raggiungono il confine di pietra e macchiano ogni cosa. La tua presenza è un dolore che sto imparando a riconoscere. Perchè guardi le rose del mio volto? Sono rose ormai appassite. Ho pochi sorrisi e nastri variopinti al posto delle vene. E i miei polsi sono piegati. Perchè la notte è fredda e io vengo dall'inferno. Sei l'Orfeo che è riuscito a salvarmi e tra le mani hai un pezzo del mio cuore. Quello che credevo di aver bruciato, quello sepolto dalla cenere fumante. Non puoi restituirmelo. Non voglio. So che vorresti tornare indietro, ma il tempo non puoi fermarlo neanche fossi Crono. Non puoi restituirmi i giorni dell'inconsapevolezza. Non puoi riprenderti quelle lacrime salate. Ora sono mie. Sono la mia palude e tu non puoi salvarmi dall'annegamento. Ferme, cristallizzate, nella rete imprigionate. Il temporale si avvicina sempre di più e l'acqua più forte travolge le strade e i nostri pensieri. E come la furia della tempesta dovresti uccidermi, sezionarmi, dissanguarmi. Non dovresti voltarti, ma ignorare il mio freddo livore. Dovresti sorridere. Cancella quella parte di pelle che rigenera e nutre il ricordo. "Hai sentito?". No. Non posso che ascoltare il tuo respiro. Ho amato i miei demoni e non so amare una creatura diversa. Non sono come te. Sono un mostro deforme e cieco. Sono un'idea sbagliata. Sono solo un esperimento. Io sono la malattia e il contagio, non sono la cura. Dovresti difenderti dal mio contagio. Non puoi confortare un'anima assente. Il mio tormento è antico e senza pace. Attorno a me non vi sono che macerie e fumo nero. Non posso costruire che case contorte. Non so più comporre, non so più farlo. Non ho che gambe malferme e chiodi nelle braccia. Non c'è misura in me, ma un nulla sconfinato e cocci e lame taglienti. Le mie mani non hanno mai ricevuto, ma ora conoscono il tuo viso e saprei disegnarlo. Ma temo che la pioggia possa smettere. Abbiamo ancora il favore di questa notte generosa? Ho paura che tu possa vedere tutto il mio dolore. Di tutto quello che sono riuscita a farmi senza sentire nulla. Di quelle lacrime che mi hanno fatta vomitare il cuore, accartocciata a terra tra ferri roventi e lamiere contorte. Ho paura che tu veda ogni cosa. Presto non avremo più il favore della notte. La pioggia svanirà. Tu abbandonerai questa stanza. E ho paura poichè è notte che sia un sogno soltanto.

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