sabato 21 aprile 2012

Daffodil lament

La finestra era spalancata, ma la persiana non era completamente chiusa.
Piccoli spiragli di luce disegnavano coni per tutta la stanza.
La luce era quella di un tardo pomeriggio estivo.
Era una luce calda, non fastidiosa.
Quella luce bellissima che si può guardare senza che gli occhi brucino.
Quando è troppo tardi per andare al mare, ma è troppo presto per poter sbirciare la luna.
Nessuna brezza si avvertiva. Tutto era immobile. In lontananza si udiva solo il vociare di bambini che giocavano. Tutto era in pace. Anche noi. Distesi e sospesi. Nessun suono, nessuno movimento.
Tutto era una siesta. Mente i bambini lontani giocavano, noi fermi, dormivamo.
Eravamo lì tra il sogno e la veglia, come una cosa che ancora non sa di esistere, come una stanza senza colori alle pareti, eppure piena di bagliori.
Esistevamo, reali come la statua degli amanti abbracciati.
I dormienti. Ma nel sonno ascoltavamo ogni cosa.
I raggi stanchi continuavano ad illuminarci, come deboli riflettori.
Con gli occhi chiusi, li vedevo.
Ascolta!
Cos'è quel rumore lontano?
Non sono più i bambini che giocano in fondo alla strada.
Cos'è?
E' il tuo cuore inquieto o forse il mio?
Cercai la fonte di quel suono così familiare e dolente.
Parlai eppure nessun suono uscì dalle mie labbra.
Non aprire gli occhi. Non farlo.
Dissi senza parole.
Resta così, in questa luce così dolce.
Resta fermo.
Non muoverò nessuna parte di me.
Resterò così finchè tu assorbirai tutto il chiarore del sole.
Era un lamento. Una nenia pigra e dolce.
Era il lamento dei narcisi che ondeggiavano assonnati e oziosi.
Erano lì. Ogni cosa era lì.
In quella scatola lucente e multicolore ancora abbracciati, ancora assopiti.
Come i narcisi malfermi.
Come il sole che ormai calava per lasciar posto alla luna opaca.

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