sabato 14 aprile 2012

Piccole abitudini


Tutta la sua vita era una abitudine, una routine, un percorso tracciato e statico.
Il rituale quotidiano del the, il giornale, la sigaretta, le telefonate. Niente poteva sfuggire dal circolo vizioso creato, approvato, ripassato e riconosciuto. Sveglia alle 11, doccia, colazione, giornale, prima dose di veleno. Lavoro, lavoro, pausa, seconda dose di veleno. Lavoro, palestra, altra dose di veleno. Casa o cinema e narcosi totale, fino ad una nuova alba. Che vita si era scelto? Nulla che potesse sfuggire alla sua bussola che non punta a nord. Non avrebbe mai potuto fare lo skipper o l'esploratore. Non avrebbe potuto essere un musicista errante, eppure faceva lo scrittore. Lo scrittore con il blocco della vita. Lo scrittore è pur sempre un lavoro "artistico", ma per lui era sedersi alla scrivania e scrivere parole, frasi, dialoghi e lo faceva come un ragioniere, come un bancario. Riempiva le sue otto ore di imbrattacarte. Non era mai riuscito a sfuggire al suo regime. Era uno straniero nella sua stessa terra. Cercava l'ispirazione e a volte gli veniva dai cartoni del latte accartocciati nel lavello. O dai fogli del giornale sparsi sul pavimento. Scriveva seduto davanti ad una finestra. Non vedeva granchè dal suo quinto piano di nulla. Una piccola piantina sul davanzale, il cielo grigio e plumbeo come una cappotto d'acciaio quando pioveva, un celeste delicato quando c'era il sole. Il posacenere colmo dimostrava la sua massima dissolutezza. Per quanto metodico nel suo iter giornaliero, spesso dormiva con i vestiti ancora addosso. Era la paura di perdere il tepore del giorno. Preparava il suo the con la meticolosità degli orientali, perchè odiava il caffè. Il the è un rito, il caffè lo si prende sempre di fretta, al bancone del bar, di corsa. Non per niente gli orientali avevano il "cha no yu". Conosciuta da noi occidentali come "cerimonia del the". E la sua era appunto una cerimonia. Una cerimonia che per lui assumeva tutti gli aspetti di un alibi, una consuetudine innata e sacra. Sua madre lo preparava sempre e ricordava ancora l'odore dell'aroma spandersi nella piccola cucina bianca. Il suo era un non pensare a nulla, ma soprattutto un non lavoro. Amava e odiava il suo lavoro. Non era mai stato un tipo particolarmente loquace, nè molto socievole e aveva sempre avuto un talento con la penna. Inventava  sempre piccole storie, spesso solo nella sua testa, a volte prendevano forma a volte erano nebulose e astratte...

To be continued...

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