lunedì 2 aprile 2012

Grigio Cenere

Se in sottofondo ci sono i Tre allegri ragazzi morti un perchè ci sarà...
"...non mi cercare, io per te sono morta!" credo che diventerà il mio motto in questi giorni.
Grigio Cenere, come la cenere delle mie sigarette, grigio come una terra indefinita, una sorta di limbo terrestre.
Grigio come una persona che non riesce mai a decidere per il bianco o per il nero...Per me che sono intransigente, per me che è tutto o bianco o nero, il grigio può diventare un colore quasi fastidioso. Grigio per esempio è un colore che s'indossava dopo un lungo periodo di lutto; significa che siamo pronti a ritornare alla vita, ma non ancora completamente. Un colore quasi indefinito è un non-colore, non ha nessuno vitalità eppure non è cupo come il nero, è il punto interrogativo tra i colori. Perciò in questo momento ho deciso che mi piace.
E se i Tre allegri ragazzi morti dicono che "non saremo mai come voi" io approvo in pieno e come loro io mi sento una "ragazza persa".
Non sempre mi sento persa, a volte i sento semplicemente un freak.
Meglio essere freak che essere idioti.
Meglio sentirsi "persi" che non sentirsi affatto.
Non tutto però è grigio cenere. Ogni tanto ci sono sprazzi di luce.
Questo colore per me simboleggia l'attesa. Una tela di Penelope. Un'attesa vana. Ma cosa aspetterò mai poi?
La nostra vita è tutta un'attesa.
Aspettiamo sempre qualcosa.
L'esito di un esame, un'ora particolare, l'uscita del nuovo album dei Depeche Mode, la nuova mostra su Dalì, il giorno della partenza e il giorno del ritorno.
E io, come tutti, aspetto.
Aspetto...
e inizio questo blog con un addio.


 
Decisero di prendersi un caffè. (Lui) sapeva che avrebbero dovuto parlarne prima o poi. Scelsero un tipico caffè, come si vedono nelle foto delle guide turistiche. Un classico con i tavolini all’aperto, le sedie in legno e i camerieri in alta uniforme, di fronte al Canale S. Martin. L’unica giornata in cui il sole finalmente si era affacciato, aveva permesso ai bambini e alle giovani madri di fare una passeggiata domenicale; ma lui intuiva che c’era qualcosa che proprio non andava… “Due caffè!” ordinò lei. “Perché il caffè? Tu lo odi.” “Oggi mi và così!” La guardò come se la vedesse per la prima volta. “Domani odierai di nuovo il caffè, lo so.” “Ti sbagli, invece. Da domani ordinerò solo caffè!” disse la donna. “Non  guardarmi così… parla piuttosto. Ti odio quando mi guardi e speri che la mia sfera magica entri in funzione ogni volta, come per miracolo.” ringhiò lei. “Già da un po’ nei tuoi occhi vedo un ‘altrove’… e forse so anche il perché.” L’uomo fissava i lacci delle sue scarpe. Lei seguì il suo sguardo e capì che non avrebbe mai perso la sua malsana abitudine di parlare pur non parlando, di avere sempre in mano la situazione con quella sua affascinante superficialità. “Dovresti proprio allacciarli… un giorno finirai per inciampare e potresti non trovare più la mia mano.” “Tu odi il caffè, come io odio questi dannati lacci e so benissimo che il giorno in cui sarò costretto a cambiarli, sarà un giorno grigio polvere.” Lui la fissò negli occhi per la prima volta quel giorno e vide di nuovo quell’altrove, che oramai conosceva bene, che odiava, che lo sconcertava e che attivava il suo sistema d’allarme. Sembrava proprio una bambina, con i suoi polpastrelli in evidenza e il pianto malcelato dei suoi occhi. Non avrebbe perso la sua abitudine di mangiarsi le unghie e non avrebbe smesso di essere così affascinante, quei suoi occhi magnetici avrebbero attirato qualsiasi uomo disposto a capire i suoi strani silenzi. “Questo caffè è tremendo!” suggerì l’uomo. La donna non rispose, ma fissò ancora i lacci sciolti delle sue scarpe… “Allacciateli da solo!”


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